a cura di Giuseppe Magroni
Foto di Alberto Mirimao
Le origini
Risuonano il rintocco del pendolo, i trilli differenti delle sveglie, i tic tac dei tanti orologi, da polso, da comodino, da parete, da salotto, da camino, antichi e di modernariato, allineati lungo le pareti ed esposti nelle bacheche.
Il fluire del tempo forma un concerto all’interno del piccolo laboratorio da orologiaio di via Cavour di Marco Massarini. Lui alto, slanciato, testa rasata, baffi e pizzo bianchi da moschettiere, più giovane nell’aspetto dei suoi 63 anni, è diventato orologiaio per caso. Il padre medico, morto quando lui aveva solo sei anni, e la madre insegnante avevano in mente per lui una professione diversa. L’iscrizione quasi obbligata al liceo scientifico Galilei mentre lui avrebbe preferito le Industriali.
Fin da bambino possedeva un grande talento per la manualità: “I miei giochi preferiti – ricorda – erano il meccano e il Lego. Poi smontavo e rimontavo i giocattoli, le macchinette delle piste e i trenini elettrici e quando erano rotti cercavo di ripararli, spesso riuscendoci. I giocattoli miei e quelli dei miei amici”.
La svolta nella sua vita avviene a Perugia, al terzo anno di Biologia: “Avevo vent’anni e mezzo. Stavo preparando un esame, matematica, quando decisi di prendermi una pausa. Feci una passeggiata e andai alla GBC, un noto negozio di elettronica negli anni Ottanta; al tempo già avevo la passione per l’elettronica. Comparivano allora i primi orologi a cristalli liquidi. Per puro caso erano lì in vendita orologi con solo gli interni, la parte elettronica. Avevo forte l’interesse di montare, smontare, rimontare, capire come funzionavano tutti gli apparecchi elettronici. A casa riparavo di tutto: ferri da stiro, phon, aspirapolvere. Così acquistai quattro moduli di orologi elettronici, la parte interna, e tornai a casa. Lì li studiai e compresi di poter ripararli. Ho fatto senza dubbio un percorso anomalo e tardivo. Ai miei tempi, chi faceva l’orologiaio si fermava con gli studi alle medie poi entrava in una bottega. Io ci sono entrato dopo i vent’anni”.
Al tempo Massarini non pensava assolutamente che nella vita avrebbe fatto l’orologiaio di mestiere: “Volevo solo crearmi una piccola autonomia economica; arrotondare quanto mi dava mia madre per sostenermi durante gli studi. Imparai come si riparavano gli orologi elettronici e, armato di coraggio, andai da vecchi orologiai, qui a Terni, che sapevano riparare solo gli orologi meccanici e quando si presentava un cliente con un problema al loro digitale elettronico non sapevano cosa fare; dove mettere le mani. Mi misi allora così a disposizione di orologiai storici, Paolo Maltinti, Livio Scorcelletti, Franco Palombi, Mario Proietti e tanti altri. Guadagnavo quaranta, cinquantamila lire a settimana. Per me era un gioco, un lavoro e insieme un apprendimento. Nel 1981, Paolo Maltinti mi chiese, avendo visto le mie abilità, perché non riparassi anche gli orologi analogici al quarzo. Il quarzo è l’elemento elettronico che determina la divisione del tempo, mentre l’orologio meccanico divide il tempo col bilanciere. Il caso e la fortuna volle che un giorno conobbi casualmente Alfredo Tarani, un vecchio orafo che aveva lavorato per anni in Svizzera per la Zenith. Diventammo amici e nel 1982 mi fece conoscere l’orefice/orologiaio Paolo Beltrame che mi inserì nel suo prestigioso laboratorio. Allora cominciai ad imparare la riparazione anche di questo tipo di orologi. Beltrame mi ha insegnato tutti i segreti degli orologi meccanici, quelli moderni e quelli antichi. È stato il mio mentore”.
Don, don, don. Risuonano gravi i rintocchi dell’orologio a pendolo nel piccolo laboratorio di via Cavour.
Il tempo fluisce, scorre lento ed esatto anche durante il racconto. Massarini diventa una sorta di ragazzo di bottega; tra il 1983 e il 1984 fa il servizio militare a Udine, ma si tiene in allenamento. “Durante la leva – ricorda – facevo l’armiere. Smontavo fucili e mitragliatori, facevo manutenzione. Ma quando tornavo a Terni passavo i miei giorni di licenza nel laboratorio di Beltrame”. Ormai l’apprendistato era terminato; l’ex studente universitario di Biologia era pronto per spiccare il volo.
Il suo primo laboratorio l’artigiano, che ha al tempo 25 anni, lo apre in via Tre Colonne e lì resta per otto anni poi si sposta in via Fratini, e lì rimane per ventidue anni. “Da sei anni – dice – sono qui, in via Cavour, mi sono spostato di qualche centinaio di metri, ma sono sempre restato nel centro storico”.
Intanto si sposa, diventa padre di due figli, contribuisce a mantenere la famiglia, fa studiare i figli, continua la sua vita ricca di interessi e arricchisce la sua esperienza professionale diventando un punto di riferimento per gli appassionati di orologi di tutti i tipi.
Marco Massarini oggi ripara nel suo laboratorio orologi meccanici, elettronici, antichi, di antiquariato e di modernariato; pendoli, sveglie, orologi da tavolo e da camino. Cerca i pezzi che mancano nei depositi all’ingrosso, soprattutto a Roma, nei mercatini e in rete. Oppure, se non si trovano, cerca di rimodellarli oppure di costruirli ex novo. “L’orologiaio – spiega – è un po’ meccanico, un po’ tornitore e un po’ saldatore. Se in un pendolo non trovo un ingranaggio, lo ricostruisco oppure adatto un pezzo già esistente di un altro orologio. Ricostruisco un dente, un pignone, una boccola. Tutte le componenti possibili”.
Dal Rolex a un orologio di marca più modesta la pratica è sempre la stessa: “L’orologio si apre e si smonta in tutte le sue componenti; si lava; si tolgono gli oli secchi e si sostituiscono con lubrificanti freschi; si riassemblano i pezzi; si corregge il difetto e si mette in prova fino a quando le lancette non restituiscono l’ora esatta. Poi faccio sempre manutenzione estetica: il vetro viene pulito o sostituito; la cassa lucidata fino a riportarla all’antico splendore”. L’artigiano riparatore non si limita solo alla meccanica interna ma anche al suo contenitore: “Proprio in questi giorni sto riparando un pregiato orologio da tavolo fine Ottocento il cui quadrante è sormontato da una statua che cadendo ha subìto il distacco della testa. L’ho rifissata al corpo con un perno e ho saldato il resto del mobile danneggiato. Il corpo della statua è di nuovo integro senza traccia dell’avvenuta riparazione”.
Bussano al suo laboratorio clienti normali, appassionati, chi vuole riparare l’orologio del padre o del nonno ma anche collezionisti che gli affidano per ripararli orologi da collezione di gran valore. Gli orologi antichi, da tasca, da panciotto e da polso sono ormai una vera passione. Oggetti di culto per collezionisti: “Ci sono quelli che li indossano, magari cambiandoli più volte durante la settimana; quelli che li espongono nelle loro abitazioni e quelli che li custodiscono nel caveau di una banca andando ogni tanto ad ammirarli solo per il gusto di possederli”.
L’orologiaio/antiquario ripara tutto: non solo orologi ma anche grammofoni, strumentazione scientifica, perfino girarrosti, anche un girarrosto antico del Settecento. La meccanica è quasi la stessa di un orologio. Il tempo deve essere esatto, altrimenti l’arrosto non gira per tempo e si brucia.
Don, don, don. Il pendolo fissato alla parete scandisce il tempo di una vita di lavoro, di esperienze e di emozioni. Sempre nuove, senza mai fermarsi, andando sempre avanti. Come il tempo che lui regola.
Nel 2018 una nuova svolta professionale: Marco Massarini riceve l’incarico dalla Fondazione Carit di restaurare l’orologio della torre dei Priori a Narni; un orologio meccanico di metà del Settecento. Un lavoro di grande impegno in cui l’orologiaio ha combinato la sua perizia tecnica con la vigoria atletica di arrampicatore e camminatore. “È stato un lavoro molto complesso – spiega – ho smontato in maniera selettiva i pezzi, li ho catalogati e numerati. Poi con una fune ho calato i pezzi fino a terra. Un lavoro rischioso perché c’erano pezzi che pesavano fino a quaranta chili e c’era il pericolo di perdere l’equilibrio e precipitare con loro nello strapiombo della torre. Poi ho traslato i pezzi in una sala. Qui li ho lavati a mano, per non danneggiare la vecchia patina, con nafta e solventi. Ho rimontato la base lignea. Ho fatto correggere da un tornitore sotto la mia direzione alcuni pezzi che con il passare dei secoli si erano consumati. Ho ricreato fori. Ho sistemato il tutto perché le ruote meccaniche lavorassero in armonia. Alcuni ingranaggi sono stati ritoccati con le lime. Ho aggiustato le ruote del tempo e infine riassemblato l’intero macchinario. Poi ho messo in prova l’orologio meccanico e verificato che funzionasse”.
L’orologio originario della torre dei Priori a Narni è stato ora sostituito con uno al quarzo che mostra l’ora esatta e comanda i rintocchi dell’ora; quello meccanico di fine Settecento fa bella mostra di sé a piano terra in una sala dell’Infopoint, nei locali interni del vecchio mercato medievale. Funziona. E può essere attivato quando si vuole. Sarebbe bello vederlo in movimento durante i festeggiamenti della Corsa all’Anello che richiamano ogni anno a Narni migliaia di visitatori.
A 63 anni, Marco Massarini ha un sogno: “Recuperare gli innumerevoli orologi storici che abbiamo, qui nella provincia di Terni, in Umbria e in giro per l’Italia. Il nostro territorio abbonda di orologi antichi abbandonati, orologi dei Comuni e della Diocesi”. L’artigiano fa un esempio: “A Collescipoli, nella chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore, c’è un orologio stupendo e fermo da anni: è un orologio meccanico del Settecento, con quadrante a 6 ore alla romana. I rintocchi orari contano dall’ora prima all’ora sesta, rintocchi che segnavano il tempo della devozione monastica, delle chiamate delle monache e prelati alla preghiera durante le ore del giorno e della notte ma anche i ritmi dei lavori pesanti nei campi. Si iniziava all’alba, poi all’una del giorno, al tramonto e infine alla notte. Solo dopo Napoleone gli orologi hanno iniziato a contare il tempo in 12 ore sui quadranti. Sono disponibile a viaggiare per l’Italia per recuperare questi veri e propri monumenti storici. La storia del tempo va di pari passo con la storia dell’uomo. Questi orologi antichi non possono restare dimenticati ed abbandonati”.
La lunga conversazione è finita; gli orologi del laboratorio continuano a ticchettare e a suonare. L’artigiano mostra con orgoglio una meridiana da tasca di sua proprietà: l’ombra indica sul piccolo quadrante l’ora mentre lui sogna di scalare torri comunali e campanili alla ricerca di orologi antichi da rimettere in movimento.