Lucio Belli

A cura di Giuseppe Magroni
foto di Alberto Mirimao

“Questa è la mia casa, qui trascorro gran parte del mio tempo, praticamente ci sono nato”. La casa di Lucio Belli, 56 anni, ternano doc nato a Campomicciolo, artigiano panificatore, è il forno/panetteria del quartiere San Giovanni, in via Papa Benedetto III.

L’intervista si svolge di sabato pomeriggio, l’unico momento della settimana in cui il forno è chiuso, ma l’odore caldo e rassicurante del pane fresco aleggia dappertutto e fa bene non solo all’olfatto ma anche all’anima.

Lucio è figlio d’arte, figlio di Otello Belli, panificatore storico della Conca ternana.

“Mi sono ritrovato da bambino nel forno, qui, a San Giovanni; con mio fratello Eusebio venivo a dare una mano l’estate e durante le feste. Era un’arte, quella di fare il pane, che mi affascinava e fin da subito non ebbi dubbi sul fatto che questa sarebbe stata anche la mia vita”. Lucio Belli interrompe gli studi con la licenza media, alla Orazio Nucula, e nel 1981 entra nel forno di via Papa Benedetto III come apprendista. “Invece mio fratello Eusebio ha preferito seguire, con successo aggiungo, un’altra strada, quella dello spettacolo. Attualmente è produttore cinematografico”.

“Il forno Belli – racconta – è un forno storico ternano fondato da mio padre, Otello Belli. Era figlio di operai ma il lavoro in fabbrica non gli piaceva per cui scelse di entrare in questo mondo della notte. Si è fatto le ossa come apprendista poi come operaio e infine, nel 1972, ha deciso di acquistare questo forno a San Giovanni dal signor Danieli. Mio padre era un vulcano come imprenditore; non si è mai fermato, ha sempre preteso macchinari nuovi. La sua è stata una vita di lavoro, ma non sarebbe potuto arrivare dov’è arrivato senza il supporto di mia madre, Annarita Labella, che l’ha sempre affiancato sia nella famiglia che nell’impresa”.

“All’inizio – spiega Belli – il forno di San Giovanni faceva una produzione che esportava solo su Roma. Solo da questo forno partivano ogni giorno trenta quintali di pane verso la Capitale che nella giornata di sabato arrivavano a settanta quintali. Venivano utilizzati ogni settimana centosettanta quintali di farina. Così era per molti altri forni. L’esportazione del pane, il classico pane sciapo ternano, era un pezzo importante dell’economia. C’erano grossisti che a volte facevano due o tre viaggi fra Terni e Roma tra il venerdì e il sabato”. Tra forni piccoli e grandi, grossisti e trasportatori al tempo gira un pezzo importante di economia intorno al pane di Terni che piace tanto ai romani e che viene acquistato da panetterie, supermercati e ristoranti. “Il pane di Terni – spiega Lucio Belli – ha una caratteristica che lo contraddistingue dagli altri pani italiani: non c’è il sale, è sciapo. La pasta madre è fatta di acqua, farina, lievito di birra e una bella conoscenza del mestiere. Il pane sciapo è adatto soprattutto per gli affettati e per la carne perché, a differenza del pane salato, fa risaltare meglio i sapori”.

Una storia economica, quella dell’esportazione del pane di Terni su Roma, che è però terminata. “Tutto è iniziato negli anni Novanta – dice Belli – il mercato di Roma si è guastato. Che sappia io nessun forno ternano esporta più su Roma. Sono stati la grande distribuzione e i forni industriali a farci una concorrenza spietata. Facevano pagare solo il venduto e si riprendevano il reso oltre a fare concorrenza sui prezzi e ad allungare i tempi dei pagamenti. Per noi e per gli altri forni ternani il mercato di Roma era diventato impossibile così questa pagina si è chiusa”.

Mentre il mercato di Roma anno dopo anno va contraendosi, la scelta del forno Belli diventa quella di vendere il pane ai ternani, mercato difficile perché i forni nel territorio sono ed erano tanti. “Nel 1996 – spiega Belli – abbiamo aperto il primo punto vendita in via Gramsci. Lavorando il pomeriggio per esportare su Roma avevamo il pane fresco anche il pomeriggio. Eravamo l’unico forno a Terni che aveva il pane fresco anche il pomeriggio, anche la domenica pomeriggio quando tutte le altre panetterie erano chiuse. L’esperimento ebbe successo e a questo punto abbiamo aperto un secondo punto vendita, una panetteria, qui a San Giovanni accanto al forno. Anche qui abbiamo venduto pane, pizza e dolci anche il pomeriggio. Per la clientela del pomeriggio ci ha aiutato il contiguo campo sportivo che prima era della squadra di calcio Gianfardoni e oggi della Ternana rugby. Qui sono passati e passano ancora migliaia di bambini e ragazzi per la merenda e di genitori che acquistano dopo le partite dei figli il pane fresco per la cena”.

In quegli anni Lucio Belli subentra al padre Otello e prende la gestione del forno, affiancato dalla moglie, Rosa Mencarelli, anche lei imprenditrice che per 33 anni ha gestito un supermercato di sua proprietà a Terni.

“Nel 2021 – dice Belli – abbiamo aperto il nostro terzo punto vendita, in piazza Dalmazia, riscuotendo un grande consenso da parte della clientela”.

Dai tempi delle vecchie panetterie ternane che vendevano solo il pane sciapo l’offerta oggi è completamente cambiata. “Oggi – spiega Lucio Belli – il forno è diventato una boutique, la boutique del pane. Oggi produciamo e vendiamo ogni tipo di pane: pane sciapo e pane salato, pane all’olio, integrale, con le farine biologiche, con i grani antichi, pani con farine di segale e di mais. La domanda è cambiata completamente. La città è diventata multietnica e ogni comunità di stranieri vuole il suo pane tradizionale. Per esempio romeni e albanesi mangiano il pane salato. Poi c’è il pane senza glutine, il pane ipocalorico per chi è a dieta. All’interno delle panetterie la vendita del pane è diventata quasi residuale perché la società è cambiata. A pranzo ognuno mangia per conto suo; la famiglia di solito si riunisce solo a cena per cui c’è bisogno di poco pane. Per questo all’interno dei punti vendita offriamo pane ma anche dolci e pizze di ogni tipo che ormai costituiscono il fatturato prevalente”. All’interno di una società e di un mercato che sono completamente cambiati rispetto ai decenni precedenti, il forno Belli del quartiere San Giovanni mantiene un tratto fondamentale: “La caratteristica del nostro panificio – spiega l’imprenditore artigiano – è la lunga lievitazione; una lievitazione naturale, con poco uso di lievito di birra, che rende più digeribile il prodotto, più tollerante allo stomaco, e lo fa conservare meglio per cui il nostro pane si può tranquillamente mangiare anche il giorno dopo l’acquisto. Il lievito di birra accelera la lievitazione; l’impasto si può mettere subito in forno, ma questo va a scapito del sapore, della digeribilità e della buona conservazione del prodotto. Il nostro processo di lievitazione naturale è più lungo, tre ore, ma la qualità del prodotto è indubbiamente migliore. Per fare questo devi però avere macchinari notevoli e buone tecniche d’impasto. Ci aiuta moltissimo la linea del freddo; mettiamo gli impasti in cella frigorifera poi li cuociamo la notte”.

Anche il forno Belli, come tutte le imprese artigiane, fatica a trovare personale specializzato: giovani che vogliono intraprendere il mestiere del panificatore. “È un lavoro duro – spiega Belli – perché spesso si è costretti a lavorare anche di notte. Nel forno c’è la squadra che lavora il pomeriggio e la squadra che lavora la notte e chi fa la notte lavora solo di notte. Giovani italiani non si affacciano più. Su dieci dipendenti abbiamo tre italiani e sette indiani. Il primo operaio indiano è arrivato venticinque anni fa poi di seguito sono arrivati gli altri a sostituire i dipendenti italiani che andavano in pensione. Sono tranquilli, seri, responsabili, affidabili; con loro non hai mai sorprese. Siamo una grande famiglia; ho impostato il lavoro nel forno sul lato umano e soprattutto vedono che il padrone lavora insieme a loro”.

Poi Belli tratteggia una metafora per descrivere la bellezza e insieme la durezza del lavoro nel panificio: “Il forno è come un neonato che va accudito, cambiato ventiquattro ore al giorno e non crescerà mai. Hai la clientela tutti i giorni”.

A 56 anni, gran parte dei quali trascorsi nel forno, Lucio Belli sta pensando che è giunta l’ora di tirare i remi in barca: “Da sempre lavoro quindici ore al giorno, tutte le notti, e oggi penso che sia il caso di iniziare a riprendermi la vita. Non ho più lo stimolo a crescere perché il mio unico figlio, Michele, fa il medico nefrologo a Milano. Sono tre anni e mezzo che sta a Milano e io ancora non sono potuto salire. Non è una bella cosa. Dal primo luglio del 2022 siamo chiusi nei punti vendita la domenica. Sto pensando che è giunta l’ora di allentare con il lavoro. Sono soddisfatto della vita che ho condotto; ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefisso, questo anche grazie a mia moglie che mi ha supportato e compreso. Ma adesso credo che sia giusto concedermi un po’ di riposo”.