Campioni di stoffe e di pelle dappertutto, un grande e antico bancone da falegname, macchine da cucire, decine e decine di sedie, poltrone e divani accatastati, tendaggi di ogni tipo. Vecchie radio a valvole e vecchie macchine da cucire come arredamento. La bottega da tappezziere dell’orvietano Sergio Carli, 70 anni, cinquant’anni di iscrizione nel registro delle imprese senza contare gli anni dell’apprendistato, è come uno s’immagina la bottega di un artigiano, confusa, ordinata ed elegante nel contempo, anche se così non ce ne sono quasi più perché ormai tutti gli artigiani lavorano in capannoni di cemento nelle zone industriali. Invece la bottega di Sergio Carli e del figlio Andrea sta proprio nel cuore del centro storico di Orvieto, in via della Misericordia, collocata nelle cantine di uno dei meravigliosi palazzi patrizi della città della rupe.
Una bottega enorme, circa trecento metri quadrati, fatta di pareti e volte di pietra, di pavimenti in mattoni di cotto e di soppalchi in legno per distribuire meglio gli ambienti. “E – spiega Sergio Carli – come nelle botteghe di una volta qui si viene anche solo per parlare, per incontrarsi tra amici e per discutere dei problemi di Orvieto”.
Anche Sergio è figlio d’arte perché il padre, Romeo Carli, faceva il falegname. “Sono stato – dice – uno di quei figli che voleva essere più bravo del padre per cui ho imparato prima a fare il falegname poi il tappezziere, che in fondo è un prolungamento del mestiere di falegname ma con qualcosa in più”.
“A dieci anni stavo già in bottega da mio padre per imparare l’arte di lavorare il legno. Avere appreso l’arte della falegnameria, a differenza di tanti altri tappezzieri, mi ha permesso di saper fare i fusti, cioè lo scheletro di poltrone, sedie e divani. Io sono capace di fare tutto, non solo il rivestimento del mobile in stoffa o pelle. Ho imparato anche a fare il restauratore”.
Scuole elementari, medie, un anno di professionali poi via a imparare l’arte del tappezziere. “Prima – ricorda – sono entrato nella bottega del maestro orvietano Marcello Ciambella poi sono entrato nella tappezzeria del maestro Perini a Firenze, in via Cavour, una delle migliori botteghe d’Italia, luogo di vera eccellenza artigiana; eravamo in cinque, due ragazzi e tre operai, più il titolare. Sono rimasto due anni e mezzo e ho imparato tutto quello che c’era da sapere nel campo. Perini per me è stato un grande maestro; t’insegnava, voleva che tu crescessi, ti spiegava tutte le tecniche e i segreti del mestiere”.
Poi il servizio militare, sempre a Orvieto, e a vent’anni esatti Sergio Carli decide di aprire una bottega per conto suo, nel centro storico di Orvieto, in via Angelo d’Orvieto. A questo punto, è il 1973, entra nel vero mondo del lavoro, affiancato dal padre Romeo che morirà nel 1977.
“Ho iniziato subito – spiega Sergio Carli – a fare tutto, rivestimento di mobili, poltrone, sedie, divani, tendaggi, rivestimento di pareti. Realizzando spesso, come ho detto, mobili completi. La bottega è partita bene, con i clienti che crescevano anno dopo anno tanto che nel 1980 avevo già cinque operai, tra cui una sarta fissa”. Clienti normali e clienti importanti, veri vip. “Ho lavorato molto – dice – per l’ex ministro Riccardo Misasi; ho contribuito all’arredamento di molte sue case, per Misasi ero uno di famiglia. Ho arredato ville e palazzi di nobili romani, anche di ambasciatori. Ho lavorato per anni nelle case del quartiere Parioli con l’architetto Sergio Sardone, l’architetto dei grandi costruttori Mezzaroma. Ho lavorato moltissimo a Chianciano terme: mobili, tendaggi e rivestimento di pareti per alberghi e ville”.
L’incontro più importante avviene nel 1995 col grande stilista italo/francese Pierre Cardin. “Pochi lo sanno – racconta Carli – ma la famiglia di Pierre Cardin era ed è proprietaria del prestigioso ristorante Chez Maxim a Parigi. A un certo punto, decisero di riprodurre il locale a Mosca, Bruxelles, Ginevra, Shanghai e in altre città e di vendere il marchio Chez Maxim in franchising. Arredi e tende li preparavo qui, a Orvieto, poi andavo sul posto a montarli. Quando abbiamo arredato il locale di Mosca mi sono portato anche la sarta. Nel locale di Ginevra abbiamo lavorato io, mio figlio e un dipendente. Proprio a Ginevra ho incontrato Pierre Cardin. Mi ricordo che era elegantissimo, tutto vestito di scuro. Ha iniziato a smontare la cucina, mobili e poltrone insieme a noi. Alla fine era tutto impolverato. Si è dato una sgrullata al vestito, ci ha salutato e ha preso l’aereo per New York. Era già anziano; avrà avuto un’ottantina d’anni. Per ogni lavoro che facevamo, Cardin ci ringraziava personalmente. A Mosca avevamo un architetto bravissimo, Flavio Leoni, il tutto era sotto la responsabilità della ditta Arredamenti Tiberi di Orvieto; alla fine del lavoro il locale, di proprietà di un magnate russo, era più bello di quello originale”.
Nel 2000 la bottega si trasferisce in via della Misericordia, dov’è ancora oggi, nel cuore del centro storico di Orvieto. Bottega ricavata dalle cantine di un palazzo patrizio del 1500, palazzo Mazzocchi, dove ci sono laboratorio ed esposizione, grandi superfici con soppalchi di legno; i magazzini sono altrove. La bottega da tappezziere di Sergio e del figlio, Andrea Carli, è come le botteghe artigiane di un tempo: luogo di lavoro ma anche di convivialità e di cultura. “È un atelier dei miracoli – spiega sorridendo Sergio Carli – l’ultima bottega dove si viene anche solo per parlare. Qui il giornalista orvietano Guido Barlozzetti ha intervistato i vecchi artigiani di Orvieto per ricavarne poi un libro. Questa è la sede del premio giornalistico Luigi Barzini. Qui ci riuniamo per discutere, fare merende, proiettare documentari. Anche con quaranta, cinquanta persone alla volta”.
Oggi, a 70 anni, Sergio Carli è maestro d’arte in carcere; insegna l’arte della falegnameria ai detenuti del carcere di Orvieto. “La prima volta è stata nel 2016, sei mesi – racconta – poi sono tornato a fare corsi nel luglio di questo anno. È un’esperienza molto formativa, per loro ma anche per me. È un lavoro difficile, ma qualche detenuto sono riuscito a formarlo e a inserirlo bene nel mondo del lavoro”.
Oggi il timone della tappezzeria è in mano al figlio Andrea, 40 anni, falegname e tappezziere provetto con grandi capacità organizzative, ma il padre anche se è in pensione continua a collaborare. “Il lavoro c’è – conclude – possiamo dire che abbiamo molte richieste e che lavoriamo in tutta Italia. Sono appena tornato da Palermo. Sono soddisfatto della vita che ho condotto e di quello che sono riuscito a realizzare; in tutto questo mi è stata di fondamentale aiuto mia moglie, Luciana Bagnoni, che oggi non c’è più ma che è sempre tra noi. Oggi il futuro della bottega è nelle mani di Andrea e di sua moglie Veronica Segaluscio e posso dire che è in ottime mani”. “Il lavoro – conclude il maestro tappezziere – è un po’ cambiato da quando ho iniziato. Prima si lavorava con martello e bollette e oggi con la pistola. Prima i rivestimenti erano fatti di crine e ovatta, adesso di gomma piuma. Prima si usavano le molle, oggi la cinghia elastica. Ma il tappezziere è uno degli ultimi mestieri artigiani che si fa solo con le mani, niente macchine”.