Rulli, boccole, alberi, ingranaggi, ruote dentate, reti e tiranti, stampi, pezzi meccanici di qualunque tipo su disegno. Meccanica di precisione realizzata utilizzando materiali speciali: molibdeno, rame, bronzo, ottone, acciaio inox e al carbonio, soprattutto titanio. Materiale per la nautica, utilizzando soprattutto il titanio, perfino arredi e gioielli usando sempre metalli speciali. Il tutto usando torni e frese tradizionali e di ultimissima generazione. Paolo Santicchia, 62 anni, ternano di Vallecaprina, perito industriale, rappresenta quel tipo di artigianato, un tempo numerosissimo a Terni, legato alla grande industria e al servizio delle fabbriche. Un artigiano metalmeccanico figlio di artigiano.
“Mio padre Eraldo Santicchia – racconta – nasce come meccanico tradizionale al servizio della concessionaria Moto Guzzi di via Carrara. Sapeva fare tutto, anche la rettifica delle testate. Poi lui e un amico che lavorava con lui, Giancarlo Bottaro, decidono di mettersi in proprio e aprono una bottega in via del Serpente, siamo nel 1962. Facevano essenzialmente manutenzione e piccoli pezzi di ricambio per la Siri, una fabbrica chimica che stava dov’è oggi l’Ipercoop. Sono bravi, apprezzati, crescono professionalmente. Iniziano a lavorare anche per Li Gobbi, una media azienda metalmeccanica. Il salto di qualità arriva quando cominciano a lavorare per la “Terni”, l’acciaieria, la grande fabbrica di viale Brin. Fanno manutenzione e realizzano pezzi meccanici su commissione. Il lavoro cresce e c’è bisogno di un’officina più grande che aprono a Valenza, un locale di trecento metri quadrati con torni, frese, segatrici all’avanguardia e un carroponte per spostare i pezzi di grandi dimensioni. I dipendenti sono una quindicina, tanti da formare una squadra di calcio, la Santicchia e Bottaro, che disputa piccoli tornei a livello amatoriale. Nel 1978 ci spostiamo nella sede attuale di Sabbione, un capannone di 800 metri quadrati”.
L’intelligenza del management della “Terni” di quegli anni era quella di farsi consegnare le grandi macchine, forni, laminatoi e gli altri strumenti, corredati di disegni particolareggiati. Quando c’era da sostituire un pezzo, invece di rivolgersi ai grandi gruppi, tipo Siemens, si rivolgevano agli artigiani, alle piccole fabbriche del territorio: in questo modo facevano lavorare l’indotto e risparmiavano molto sui pezzi di ricambio.
Tutto procede per il meglio poi nel 1986 c’è lo stop: Eraldo Santicchia muore a 53 anni per una leucemia fulminante. Nel 1990 azienda e sito produttivo si dividono in due: Bottaro da una parte e Santicchia dall’altra.
A febbraio del 1991 nasce la ditta individuale Paolo Santicchia.
“Al tempo – racconta l’artigiano – avrei potuto entrare a lavorare all’Enel, ma il pensiero di stare una vita dietro una scrivania mi deprimeva. Allora con mia sorella Cristina decidemmo di continuare l’attività di nostro padre. L’officina è stata sempre la mia vita. Uscivo da scuola e andavo in officina a Valenza. Stavo sempre dietro ai tornitori e ai fresatori e imparavo il mestiere con gli occhi. Il primo lavoro, quando sono diventato titolare, è stato la realizzazione di un ingranaggio, con la fresa. Ho preso il manuale e ho iniziato a lavorare. Era la prima volta, ma è stato facile perché sapevo tutto del tornio e della fresa: quel lavoro era già entrato dentro di me”.
Paolo Santicchia continua a lavorare per i clienti di sempre: Ast, Ilserv e fabbriche dell’indotto, consorzio Tevere Nera. Stesso lavoro: “Smontiamo un forno, un laminatoio, ci sono dei pezzi da sostituire, piccoli e grandi, e noi li facciamo su disegno tali e quali”. La clientela si allarga alla Tarkett e all’Alcantara di Narni. “Un giorno – racconta l’artigiano – ci chiamano dall’Alcantara; avevano delle pompe molto particolari che a Terni nessuno riusciva a rifare. Noi ci siamo riusciti e da allora lavoriamo per loro. Facciamo tutti i pezzi di ricambio e su loro disegno anche stampi in metallo dei prodotti di rivestimento delle sellerie delle auto”.
Nel 2000 una nuova svolta lavorativa per la piccola azienda artigiana di Sabbione. “Nel 2000 – racconta Paolo Santicchia – iniziamo a lavorare per Titania e per il Tubificio. Solito lavoro, pezzi di ricambio per forni e laminatoi. È però diverso il materiale che utilizziamo per fare i pezzi, il titanio, leggero e nel contempo resistente, un metallo che non arrugginisce. Diventiamo specialisti in Italia della lavorazione del titanio. Lavoriamo per Titania per dodici anni, fino alla chiusura della fabbrica”.
Santicchia comprende che può lavorare in proprio con il titanio. Acquista il titanio residuo delle lavorazioni dall’Ast e lo rimodella secondo le esigenze del cliente. Capisce che il mercato ideale per pezzi di titanio è la nautica, tutto quello che c’è di metallico nelle barche: passerelle, scalette, corrimano, bitte, gli arredi esterni ed interni delle imbarcazioni. Abbiamo partecipato con prototipi al salone nautico di Genova nel 2006 e siamo stati subito contattati da un famoso velista, Andrea Mura, a cui abbiamo armato con componenti in titanio la sua nuova barca, Vento di Sardegna. Quello è stato il primo grande lavoro a cui ne sono seguiti molti altri fino ad oggi. La nautica è sempre una parte importante del nostro lavoro. Con il titanio facciamo di tutto, anche reti e catene per consolidare i muri, per realizzare complesse opere di restauro”.
La meccanica di precisione, lo dice il nome, è un lavoro di grande accuratezza: “Adesso – spiega l’artigiano – stiamo realizzando punte di presa per sollevare le bramme. Componenti fatti con acciai particolari. Un lavoro di grande accuratezza e responsabilità perché se si rompe una presa si rischiano incidenti gravi. In tutti questi anni mai avuti un problema, una contestazione”.
Oggi la ditta è composta dai fratelli Paolo e Cristina Santicchia e da due anziani fresatori e tornitori, Piero e Gianluca: “Con loro – dice Paolo – non c’è bisogno di spiegare nulla. Consegno il disegno del pezzo e so che verrà realizzato a regola d’arte come vuole il committente”.
Paolo Santicchia è soddisfatto e orgoglioso del suo percorso di vita e di lavoro, ma ha una consapevolezza: “Arrivato alla pensione, chiudo. Non c’è ricambio generazionale: i vecchi artigiani stanno scomparendo e i ragazzi di oggi non hanno voglia di sporcarsi le mani. Prima venivano ragazzi delle Industriali e delle Professionali, anche durante gli anni di studio, con voglia d’imparare. Si mettevano dietro a un tornitore e a un fresatore e iniziavano il loro percorso. Qualcuno è diventato un bravo artigiano. Sono molti anni che non viene più nessuno. È così per tutti i miei colleghi. Mancano muratori, meccanici, idraulici, elettricisti, falegnami. Sono mestieri che non vedranno mai crisi perché case e fabbriche hanno sempre bisogno di manutenzione e di lavori. Sono lavori che se fai bene, alla fine del mese tiri fuori un bello stipendio; eppure non li vuole fare più nessuno. Colpa soprattutto delle famiglie che indirizzano i figli a fare gli impiegati pensando che il lavoro manuale sia una cosa degradante”. Ma forse un futuro artigiano in famiglia ci sarà: “Mia figlia Giulia ha 17 anni e fa il liceo. Fin da piccola ha però dimostrato una grande manualità, cucina, lavora con l’uncinetto, pittura. Vediamo, magari farà l’artigiana anche lei”.