La misticanza è un mix di erbe che, narra la leggenda, anticamente i frati portavano nei mercati di città dopo averle raccolte nelle campagne.
È un po’ quello che fa Giovanni Azzalini; lui raccoglie le verdure e gli aromi che coltiva nel suo orto biologico di Giove poi li cucina, insieme alle carni, e li serve nel suo chiosco di street food alle Mole di Narni: vista splendida su un’ansa del fiume Nera e su una piccola centrale idroelettrica dell’Enel dall’architettura liberty, uno dei luoghi più suggestivi delle Gole di Narni. È per questo che si fa chiamare Johnny Misticanza, nome d’arte che deriva dal suo lavoro e dalla sua identità di cuoco rigorosamente biologico che ha fatto la scelta di cucinare all’aria aperta. L’approdo alla cucina street food è l’ultimo capitolo di una storia lunghissima che vale la pena di raccontare.
Giovanni Azzalini nasce nel 1963 a Giove da genitori contadini, piccoli coltivatori diretti. “Fin da piccolo – dice – ho respirato l’aria della terra”. Elementari e medie a Giove, poi a Terni l’Istituto industriale dove nel 1979 si diploma come perito metalmeccanico. “Era il sogno dei miei genitori, – spiega – quello del posto sicuro in acciaieria”.
Servizio militare poi il ritorno in città. L’industria ha già iniziato la curva del declino e non offre più lavoro ai periti industriali.
Primo lavoro, a 20 anni, come portiere di notte al Motel Park di Orte. Poi fa il barista alla stazione Esso lungo la superstrada, sempre il turno di notte: “Macinavamo 14 chili di caffè a notte con i cacciatori che ti appoggiavano le doppiette sul bancone”. È lì che scopre il primo segreto del barista: “La prima virtù del barista è quella di saper parlare con la gente, intuire i loro desideri”. Johnny comprende che il suo futuro lavorativo sarà lì, dietro il bancone di un locale pubblico. Passaggio successivo al pub Perla di Amelia: “Lì ho imparato a fare i primi cocktail. Ero curioso; andavo in giro per l’Italia e assaggiavo tutti i distillati. Leggevo, m’informavo. Ho imparato a fare il barman professionista come autodidatta”. In contemporanea, fa il barman il sabato e la domenica al Divina, la storica discoteca in pieno centro a Terni sotto il cinema Politeama. Johnny ormai si è fatto esperienza; conosce un sacco di gente, tanti ragazzi e nel 1985, a 25 anni, decide di mettersi in proprio. Vince il bando per la gestione del chiosco all’interno del parco comunale di Giove. “Attenzione alle metrature, – sottolinea – parto con un chiosco di 16 metri quadrati. Inizio a fare aperitivi che in poco tempo si trasformano in apericena. Spillavamo birre di marca, tutte le sette sorelle tedesche, ma anche birre artigianali, come la Birra del borgo, una ditta di Rieti, vini di marca, wurstel tedeschi e salsicce di Norimberga”. Arrivano giovani da tutto il circondario.
Il pub s’ingrandisce; per il progetto si rivolge ad un amico, l’architetto Maurizio Processi, un vero maestro morto prematuramente. “Lo stile – dice – era quello di un Canadian club, arredo in mogano, colori blu e viola. Bancone in pioppo, arte povera”. Feste, musica dal vivo con gli Altoforno, Valter Vincenti e Marco Rea. Un’estate proietta film nel parco con una vecchia macchina da proiezione. Il chioschetto diventa il Johnny’s pub e la superficie sale a 150 metri quadrati. Ci sono quattro dipendenti e due buttafuori. “La sera – racconta ridendo – arrivavano anche 1500, 1600 persone. Troppe. Rumori, qualche casino. Ci sono malumori in paese. C’è una raccolta di firme. Decido di chiudere”. È il 1997.
L’intervista con Giovanni impiega tempo perché è raccolta in pieno orario di lavoro, dalle 17 in poi. Giovanni/Johnny parla, ricorda, poi torna indietro, aggiunge un particolare che gli era sfuggito, si lancia in avanti e tocca il presente. Poi s’interrompe, si alza perché ci sono piatti da preparare per ragazzi appena arrivati. Chiedono birre, aperitivi, stuzzichini. Lui consiglia panini con manzo, pollo, maiale e le verdure del suo orto, rigorosamente quelle del giorno, quelle appena colte. Dal fiume Nera si alza una brezza rinfrescante; qualcuno fa il bagno. Anche il panorama con tutto quel verde cupo che si riflette sulle acque rinfresca gli avventori. I tavolini del chiosco sono tutti pieni.
“Nel ’97 – racconta – prendo in gestione dal Comune di Amelia il chiosco dei giardini, che ricopro subito con un tunnel. Lo chiamo Johnny’s eden. Stavamo aperti sette giorni su sette da maggio a novembre”.
Gira tutta l’Italia; gira per fiere alla ricerca di vini e distillati particolari. Va anche all’Avana, a Cuba, per apprendere la tecnica del Mojito. Le giuste dosi, come si pestano il lime e il mentastro, la menta verde speziata che dà l’aroma al cocktail.
“Adesso – spiega lui – il mentastro non si trova quasi più perché cresce in zone acquitrinose; la menta verde speziata è praticamente scomparsa con la diminuzione delle piogge”. Anche il chiosco di Amelia va bene. “In una stagione – dice – vendevamo anche settemila sabrett, i famosi hot dog americani”. Nel 2002 un salto ulteriore. “Chiudo il chiosco – racconta – e apro sempre ad Amelia una enobirreria che chiamo La misticanza, il logo me lo disegna una grande pittrice, Grazia Cucco. La apro nel palazzo più antico fuori dalle mura urbiche, quello dove un tempo c’era l’hotel Diana. Metto a frutto tutta l’esperienza accumulata in anni di lavoro. Servo birre di grande qualità e birre artigianali. Accompagno vini, birre e aperitivi con i prodotti del territorio, con i sapori del territorio, quelli autentici, quelli in larga parte scomparsi che difficilmente trovi in altri locali: il maiale arruffato, quello senza colesterolo, con grasso nobile, che acquisto in un piccolo allevamento di un austriaco a San Lorenzo Nuovo, nel Viterbese, il cecio nero di Gradoli, la Roveglia, un pisello selvatico di Norcia. Per la carne e i salumi mi servo in piccole macellerie del territorio; i formaggi li vado a cercare dai pastori. I vini alla fiera del vino di Bagnacavallo, a Forlì, dove venivano presentati vini naturali e autoctoni, vini di cantine sconosciute prodotti con lieviti naturali del territorio che ad ogni vino davano un sapore unico”. Intanto diventa anche agente di commercio di bioplastiche, stoviglie fatte di materiale organico che si conferiscono nell’umido e diventano compost. Va in giro per i Comuni a chiedere che le stoviglie delle sagre siano fatte di bioplastica per non produrre inquinamento.
Il pub di Amelia chiude nel 2013, “troppe tasse, troppa burocrazia”, e Johnny decide di lanciarsi nell’avventura dello street food, la cucina per strada; acquista un furgoncino e va in giro a vendere i suoi prodotti per fiere, sagre e feste popolari. Nel 2020 e nel 2021 il Covid cancella tutti gli eventi collettivi. Johnny perlustra il territorio alla ricerca di una postazione fissa dove lavorare quando il governo autorizzerà di nuovo la circolazione delle persone. Trova le Mole di Narni, un’ansa meravigliosa del fiume Nera dove fino a poco fa si poteva pure fare il bagno. Uno dei posti più suggestivi dell’Umbria. Johnny raggiunge un accordo con il proprietario dell’area e con il Comune di Narni e s’impianta lì in modo stabile. In poco tempo diventa un punto di riferimento; entra a fare parte del paesaggio. Il chiosco “La misticanza”, l’antico logo del pub, è frequentato da tutti i turisti delle Gole di Narni; molti si spostano dal circondario per pranzare o cenare da lui, per farsi un aperitivo con vista sul fiume.
Ci sono vini biologici, come birre le sette sorelle di Monaco, birre olandesi, birre artigianali italiane, birre sempre nuove. Johnny serve in tavola tutti gli aromi e tutte le verdure prodotte dal suo orto biologico a Giove, nel terreno che era dei suoi genitori: agli, cipolle, patate, rape, insalate, melanzane, prezzemolo, sedano. “Faccio mangiare – spiega – i prodotti freschi del giorno, quelli appena colti. Oggi mangi il broccolo perché c’è, domani la verza, domani dopo la zucchina, oggi ho ceci bellissimi”. “La carne – spiega ancora – la prendo dal macellaio di Penna, un giovane che ha ereditato la macelleria del nonno. Lui vende tutti i tagli, non solo la bistecca e il filetto, perché della bestia non va sprecato nulla. Preferisco la spalletta al prosciutto”.
L’intervista corre verso la conclusione. I ragazzi ai tavoli sorridono per la soddisfazione. Panini di manzo, panini al maiale, panini al pollo con gli aromi, le spezie e le verdure del giorno. Il pane è caldo. Sapori e odori autentici, quelli ormai scomparsi; panini che si sciolgono in bocca. Lui corre da un tavolo all’altro e spiega la provenienza delle carni, l’ultima birra scoperta in Europa, gli ingredienti del cocktail appena servito. Johnny è un cuoco felice e soddisfatto di sé perché serve prodotti naturali all’interno della natura. È il tramonto ed è ora di chiudere il chiosco, di sbaraccare. L’intervista si conclude con un brindisi alla natura e ai prodotti naturali; sul tavolo arriva il “Giove tronic”, un cocktail inventato da lui con alla base un distillato di erbe prodotto da una ditta di Giove.
“Ora devo andare ad innaffiare l’orto – conclude – e a cuocere le cipolle perché devono bollire per ore. Per fortuna che all’orto ci pensa anche mia madre Secondina, 87 anni. Lavorare con passione fa bene alla salute”.